L’economia del Veneto riparte grazie all’industria. Il 2021 prende avvio con un rimbalzo congiunturale di produzione e fatturato (+3,1%), ma non per tutti i settori

COMUNICATO STAMPA, 27 maggio 2021

Nei primi tre mesi del 2021 l’accelerazione delle somministrazioni di vaccini e l’attenuazione dell’allarme sanitario per Covid-19 hanno permesso una ripresa dell’attività industriale del Veneto, malgrado la ripartenza non sia omogena tra i diversi comparti. La produzione industriale, dopo la contrazione del -8,6% nella media 2020, ad inizio 2021 ha registrato una attesa (e scontata) variazione positiva del +12% su base annua, influenzata dai bassi livelli raggiunti ad inizio 2020, mentre la tendenza congiunturale destagionalizzata è del +3,1%. Oltre alla produzione, salgono anche il fatturato (+3,1%), e soprattutto si acquisiscono ordini sia legati al mercato interno (+5,6%) che alle esportazioni (+6%), che offrono visibilità sul futuro. Il rimbalzo dell’industria veneta, se paragonato al 2020, quando l’economia era alle prese con il lockdown e l’inizio della pandemia, potrebbe essere definito “fisiologico”. Pur con una necessaria prudenza è tuttavia ragionevole supporre che il contesto dell’industria regionale sia destinato a migliorare ulteriormente nei prossimi mesi, pur condizionato in modo pesante dai costi delle materie prime e dalla carenza di componenti. A dirlo sono i dati dell’indagine VenetoCongiuntura di Unioncamere del Veneto condotta tra aprile e maggio 2021 su un campione di 2.275 imprese con almeno 10 addetti, a cui fanno riferimento oltre 90 mila occupati (www.venetocongiuntura.it), e che ci fanno capire quali sono le diverse velocità di recupero in gioco nell’industria veneta.

Lo mette bene in evidenza la curva di risalita del grado di utilizzo degli impianti, che nel primo trimestre 2021 si riporta ad un valore prossimo al 73% (era al 69% a fine anno), in linea con la situazione pre-Covid. Rispetto a quanto osservato lo scorso trimestre, emerge ora una situazione più convergente fra settori. Il tratto comune è, quasi sempre, la rapida risalita a “V” della saturazione della capacità produttiva, che riguarda anche settori come i mezzi di trasporto e l’occhialeria, che avevano conosciuto profonde cadute dell’indicatore durante i trimestri centrali del 2020 e che ancora, a fine anno, funzionavano a regime ridotto. Restano “fuori dal coro” l’industria alimentare e il sistema moda: la prima presenta un grado di utilizzo degli impianti addirittura in flessione rispetto alla fotografia di fine 2020 (dal 71 al 68%), pagando con tutta evidenza il protrarsi delle limitazioni alle attività del turismo e della ristorazione. Anche il sistema moda si ferma ad un grado di utilizzo degli impianti del 68%, pur in risalita di 5 punti rispetto al trimestre precedente. All’opposto della scala si colloca il settore delle macchine elettriche ed elettroniche (che include anche gli elettrodomestici), la cui saturazione della capacità produttiva ha superato il 77%, con un balzo di 10 punti rispetto alla situazione degli ultimi tre mesi del 2020. Altrettanto interessante il recupero della gomma plastica: il grado di utilizzo degli impianti passa dal 69 al 76%.

Analizzando invece i giudizi relativi al recupero congiunturale, che permettono di capire quanto possa essere diffusa la situazione di positività tra le imprese nel primo trimestre 2021 (dando “quasi” per scontata la convergenza dei settori nel rimbalzo su base annua), emerge che quasi il 53% delle imprese manifatturiere venete ha dichiarato produzione in aumento, solo un 12% è per la stazionarietà, mentre il 35% ne ha evidenziato una diminuzione. È questa la situazione di fondo che trova poi sintesi nella crescita destagionalizzata della produzione del +3,1%, rispetto al quarto trimestre 2020. Si tratta di una distribuzione di giudizi che ricalca abbastanza fedelmente quanto osservato a fine anno: il recupero congiunturale continua ad interessare la maggioranza assoluta delle imprese; al tempo stesso si continua ad avere un terzo abbondante di imprese che stenta ad agganciare la ripartenza. Compressa al minimo l’area della stazionarietà: come a confermare uno scenario di forte polarizzazione fra settori/imprese “in tiro” e settori/imprese “al palo”. Analoga situazione si ritrova per il fatturato: identica la quota delle imprese con vendite in crescita su base congiunturale (53%), identica la variazione congiunturale destagionalizzata (+3,1%).

Rispetto a questa distribuzione media dei giudizi, i settori più polarizzati sul rimbalzo di produzione e vendite sono la gomma plastica, la carpenteria metallica, i macchinari industriali e l’occhialeria. In questi settori i giudizi positivi coinvolgono un’ampia base imprenditoriale, anche con quote significativamente superiori al dato medio del comparto. Il sistema moda e l’industria dei mezzi di trasporto paiono invece collocarsi ancora “in mezzo al guado”: una maggioranza di imprese (che stenta ad essere maggioranza assoluta) segnala produzione e fatturato in aumento, sempre su base congiunturale. Al tempo stesso un 36% di imprese del sistema moda evidenzia produzione in calo (quota che sale al 40% per il fatturato). Mentre per i mezzi di trasporto abbiamo un 27% di imprese con produzione stazionaria, che va ad aggiungersi ad un 24% che dichiara produzione in calo (con effetti più marcatamente negativi per le vendite, indicate in calo dal 33% delle imprese intervistate).

Nel legno-mobilio e nell’industria alimentare si concentrano maggiormente i giudizi negativi: ma diverse sono le dinamiche vissute dai due settori nell’arco dei dodici mesi. Il legno-mobilio, protagonista di una precoce ripartenza già nel 2020, al traino dell’edilizia e dei vari bonus, vanta robuste variazioni su base annua (+21% per produzione e +26% per fatturato, a fronte di una crescita media del +12% del manifatturiero regionale per entrambi gli indicatori). Dunque, il rallentamento registrato nel trimestre in esame, evidenziato da deboli variazioni congiunturali e da una distribuzione dei giudizi spostata in territorio negativo (il 51% delle imprese del settore dichiarano fatturato in calo, contro il 41% che ne segnala un aumento) pare più un assestamento fisiologico dei funzionamenti della filiera (dopo lo “strappo” iniziale), in un orizzonte peraltro di stabilità se non di ulteriore crescita della domanda (per il secondo trimestre 2021 il 63% delle imprese del legno-arredo prevede aumento della produzione).

Altra storia sembra invece raccontare l’industria alimentare: perché l’addensamento di giudizi in territorio negativo non riguarda soltanto il passo congiunturale (il 53% delle imprese ha dichiarato fatturato in calo, a fronte di un 36% che lo indica in aumento rispetto a dicembre). Appare critico, soprattutto, l’andamento del settore su base annua, in netta distonia con il resto del comparto manifatturiero: flettono infatti produzione (-2,5%), fatturato (-1,9%) e ordini esteri (-3,0%); si difendono solo gli ordini interni, in crescita minima però su base annua (+1,2%) rispetto a un dato medio del +10,3%. Una situazione che trova ampio riflesso nella distribuzione dei giudizi, in specie per il fatturato. Se per il manifatturiero nel complesso il 62% delle imprese intervistate ha potuto contare su un miglioramento delle vendite nell’arco degli ultimi dodici mesi, per l’alimentare solo un 42% delle imprese ha potuto indicare la stessa cosa, a fronte di un 47% con vendite in calo.

Nonostante queste aree di criticità, le imprese del manifatturiero veneto paiono guardare con fiducia e ottimismo all’immediato futuro. Se nelle previsioni per il primo trimestre 2021 dominava in assoluto l’incertezza (si ricorderà la quasi precisa tripartizione fra giudizi di flessione, stazionarietà e aumento per i diversi indicatori monitorati), in queste previsioni, raccolte ad aprile, che guardano al secondo trimestre 2021, il quadro è decisamente roseo: in media, il 57% delle imprese scommette sull’aumento della produzione, a fronte di un 13% di pessimisti e di un 30% che fornisce indicazioni di stazionarietà. Rispetto a queste attese, si discostano in positivo il già menzionato legno arredo, i macchinari industriali e l’occhialeria: in questi tre settori la quota degli ottimisti coinvolge quasi i 2/3 degli imprenditori intervistati. Anche l’industria alimentare, intravedendo un’estate di riaperture della ristorazione e del turismo, guarda con fiducia ai prossimi mesi, con qualche pizzico di cautela in più: la quota degli ottimisti raggiunge il 53%, ma resta ampio il segmento degli scettici (29% di imprese sono per la stazionarietà). Ad ogni modo, solo il 18% delle imprese alimentari teme un’ulteriore contrazione delle attività. In una situazione analoga si colloca il sistema moda: il 48% delle imprese crede in una ripartenza, per un 32% è più plausibile ancora una situazione di stallo, il 20% teme un calo ulteriore della produzione. Timori che sembrano venire soprattutto dall’andamento dei mercati esteri, dal momento che la quota dei pessimisti sale al 23% proprio con riferimento alla raccolta ordinativi esteri.

«In pochi mesi, grazie ai progressi nelle campagne vaccinali, hanno preso forza a livello globale quei segnali di ripresa che ancora a fine anno restavano una mera ipotesi previsiva. Restano sfasati i tempi di ripresa, sia per ragioni geografiche che per ragioni settoriali – spiega Mario Pozza, presidente di Unioncamere del Veneto. Nel primo trimestre del 2021, ad ogni modo, l’industria manifatturiera veneta ha registrato un andamento più che positivo (+3,1% rispetto al trimestre precedente) che ha proseguito, pur a ritmi più normalizzati, il rimbalzo di attività evidenziato nella seconda metà del 2020. Anche le prospettive sono in netto miglioramento, stando alle valutazioni degli imprenditori e anche in considerazione delle progressive riaperture di molte attività nei servizi. Fatto che  commenta Pozza  dovrebbe permettere anche a settori come l’alimentare e il sistema moda, legati a filo doppio al turismo, alla ristorazione e in generale alla mobilità delle persone, di recuperare il terreno perso. E’ del 53% la quota di imprese che prevede una crescita della produzione nei prossimi tre mesi, salita di oltre 20 punti rispetto a fine 2020. Anche l’indagine Ihs-Markit sul manifatturiero italiano mostra simili evidenze: l’indice è salito in aprile ai massimi storici (60,7 da 59,8 di marzo), spinto dalla dinamica positiva della produzione e dall’accelerazione degli ordinativi che non si vedeva da anni. Pur con tutte le cautele del caso, è ragionevole supporre  sono le conclusioni del Presidente Pozza  che il contesto dell’industria regionale sia destinato a migliorare ulteriormente nei prossimi mesi, sostenuto dalla ripresa della domanda interna (+5,6%) ed estera (+6% rispetto agli ultimi tre mesi del 2020), che finora sono state frenate a causa delle misure di contenimento del virus e per effetto dell’incertezza e delle preoccupazioni sull’evoluzione della crisi sanitaria.

Restano certo aperte alcune incognite, quali il rincaro delle materie prime, lo sblocco dei licenziamenti, e se la crisi abbia intaccato la solidità finanziaria delle imprese. Sono aspetti che abbiamo verificato  dice Pozza  sottoponendo alcune domande di approfondimento al medesimo campione utilizzato per il monitoraggio congiunturale.

In effetti, il 58% delle imprese intervistate ha percepito un aumento generalizzato dei prezzi delle materie prime rispetto al 2019, con un rincaro medio del +12,7%. Ma il prezzo dei coils in acciaio è rincarato di quasi il +40% da agosto 2020 ad oggi. E si fa fatica ad approvvigionarsi di componentistica elettronica. Saranno temporanei, questi rincari, come dicono gli analisti, ma intanto complicano non poco questa fase di ripartenza, perché talvolta le imprese si trovano nell’oggettiva difficoltà di evadere gli ordini, per carenza di materie prime o semilavorati.

Meno critico lo scenario sull’occupazione: solo il 7% delle imprese intervistate pensa di dover ricorrere alla riduzione dell’organico una volta rimosso il blocco dei licenziamenti. Questo almeno è quello che emerge dal nostro campione  Pozza ci tiene a precisarlo  che analizza le imprese manifatturiere dai 10 addetti in su. All’interno di questo sottoinsieme di imprese, potrà essere del 13% circa la quota di lavoratori a rischio licenziamento (quota che tende a salire per il sistema moda). Riportando questi dati all’universo del comparto manifatturiero, la nostra stima è di circa 5.000-6.000 probabili esuberi in Veneto, allo stato attuale. Ma bisognerà capire la dinamica del comparto (e di quei settori oggi meno agganciati alla ripartenza) al momento effettivo della rimozione del blocco.

L’ultimo aspetto che abbiamo indagato – conclude Pozza – riguarda la situazione finanziaria delle imprese: il 59% delle aziende intervistate, dopo l’inizio della pandemia da Covid-19, non ha richiesto moratorie sui prestiti. Un altro 13% di imprese ha richiesto moratorie che però sono già scadute. Poco più di un quarto del campione intervistato (il 28%) ha invece una moratoria ancora attiva: ma all’interno di questo gruppo, solo un 11% di imprese prevede di essere in difficoltà nel ripagare il debito alla scadenza e pensa di chiederne una ristrutturazione. In quadro complessivamente confortante, di solidità patrimoniale del comparto – commenta Pozza, questa è l’area di rischio che si riesce a circoscrivere, che interessa trasversalmente i vari settori, con una maggiore intensificazione per il sistema moda e per i mezzi di trasporto».

Come ormai è consuetudine, questa nota congiunturale viene arricchita anche dal contributo di Veneto Lavoro sui dati occupazionali. Dal loro osservatorio emerge che nel primo trimestre del 2021 il saldo tra assunzioni e cessazioni, per quanto riguarda le imprese private e i contratti a tempo indeterminato, determinato e di apprendistato, in Veneto è stato pari a +29.000 unità rispetto alle +18.000 fatto registrare nell’analogo periodo del 2020 e alle +44.500 del 2019, ma l’indicatore più affidabile dell’andamento del mercato del lavoro in questa fase è costituito dal volume della domanda di lavoro e le assunzioni risultano in flessione del -17% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e ben del -31% sul 2019. Il bilancio per tipologia contrattuale è stato positivo per il tempo determinato (+24.000 posizioni) e per il tempo indeterminato (+5.400), l’apprendistato risulta appena negativo (-700). Il saldo occupazionale è positivo per +13.000 posizioni per l’agricoltura, +3.000 per le costruzioni e il metalmeccanico, mentre i servizi (al netto del commercio e turismo) registrano un +9.000, mentre la flessione della domanda di lavoro si è concentrata principalmente nei settori soggetti alle restrizioni (servizi turistici -60% e commercio -23%), ma non ha risparmiato anche quelli industriali “ingessati” dal blocco del turnover.

Ad aprile 2021 Unioncamere del Veneto ha sottoposto al campione di imprese manifatturiere dell’indagine VenetoCongiuntura una veloce batteria di domande, funzionali a comprendere alcuni aspetti ampiamente dibattuti in questa fase di progressiva uscita (auspicabilmente) dalla pandemia: l’estensione e la profondità della caduta del fatturato nel 2020 nei vari settori del manifatturiero, le criticità negli approvvigionamenti, le eventuali previsioni di licenziamento una volta rimosso il blocco, la situazione delle imprese rispetto alle eventuali moratorie richieste.

Secondo i dati raccolti, nel 2020 il 74% delle imprese intervistate ha dichiarato una diminuzione del fatturato rispetto al 2019, mentre solo un quarto ne ha registrato un aumento. I settori dove si addensa la più elevata quota di imprese che ha dichiarato fatturato in calo sono la carta e stampa (87%), l’industria delle macchine elettriche ed elettroniche (82%) e il tessile abbigliamento (83%), mentre l’industria alimentare riusciva ancora a difendersi, con un 40% di imprese che ha dichiarato fatturato in aumento. La contrazione media del fatturato è stata pari al -7,4% (2020 su 2019): ma a soffrire maggiormente sono state le imprese di piccola dimensione (-9,5%). A livello settoriale solo le imprese del marmo, vetro e ceramica (+3,7%) hanno mostrato un aumento del fatturato rispetto al periodo pre-crisi; l’alimentare e bevande ha evidenziato una sostanziale stabilità (-0,3%); tutti gli altri settori invece hanno registrato una flessione del fatturato, con diminuzioni più marcate per gomma e plastica (-17,5%), tessile e abbigliamento (-17,2%) e carta e stampa (-13,1%). Seguono i mezzi di trasporto (-9,3%), il legno e mobile (-9,2%), i metalli e prodotti in metallo (-9,1%), le macchine e gli apparecchi meccanici (-8,9%). Negativa ma sopra la media nazionale la variazione per le macchine elettriche ed elettroniche (-6,8%).

L’economia industriale si è ripresa la scena, ma il sistema economico globale dal 2020 sta soffrendo l’aumento dei prezzi di alcune materie prime. Nel 2020, il 58% delle imprese intervistate ha percepito un aumento generalizzato dei prezzi delle materie prime rispetto al 2019, con un rincaro medio del +12,7%. Se guardiamo a livello dimensionale la quota delle imprese che ha avvertito un aumento dei prezzi sale a 61% tra le imprese di piccola dimensione mentre tra le imprese medio-grandi risulta pari a 49%. A livello settoriale l’aumento dei prezzi è stato avvertito maggiormente tra le imprese delle macchine elettriche ed elettroniche (69%, con un rincaro medio del +10,7%), i mezzi di trasporto (65% con un rincaro medio percepito del +17,5%) e dei metalli e prodotti in metallo (63% con un rincaro medio percepito del +16,5%).

Meno critico lo scenario sull’occupazione: solo il 7% delle imprese intervistate pensa di dover ricorrere alla riduzione dell’organico una volta rimosso il blocco dei licenziamenti. All’interno di questo sottoinsieme di imprese, potrà essere del 13% circa la quota di lavoratori a rischio licenziamento (quota che tende a salire per il sistema moda e i mezzi di trasporto). Riportando questi dati all’universo del comparto manifatturiero, si stima che – se ci fosse nell’immediato lo sblocco dei licenziamenti – l’industria manifatturiera veneta potrebbe andare incontro ad una perdita di posizioni lavorative compresa tra 5.000 e 6.000 unità. Una stima che resta necessariamente aperta all’evolversi della situazione congiunturale e alla capacità di riassorbimento anche di quei settori/segmenti oggi meno agganciati alla ripartenza.

Anche la situazione finanziaria delle imprese sembra essere confortante: il 59% delle aziende intervistate, dopo l’inizio della pandemia da Covid-19, non ha richiesto moratorie sui prestiti mentre il 13% l’ha richiesta ed è già scaduta e il 28% ha una moratoria ancora attiva. Di queste ultime solo l’11% dichiara di essere in difficoltà nel ripagare il debito alla scadenza della moratoria e pensa di chiederne una ristrutturazione, mentre il restante 89% sostiene di riuscire a ripagare il debito accumulato. In particolare: il 65% dichiara che riuscirà ad estinguere il debito utilizzando autofinanziamenti o scorte di liquidità, il 13% che farà fronte al pagamento utilizzando nuovi prestiti o apporti di capitale e l’11% che ripagherà il debito riducendo altri flussi in uscita (ad esempio riduzione di investimenti, riduzione del personale).

LA PRESENTAZIONE DEI DATI DEL PRIMO TRIMESTRE 2021

LA PRESENTAZIONE DEI DATI DI VENETO LAVORO